ANNO 14 n° 119
Braccini e Buratti, per non dimenticare
25/04/2015 - 00:00

VITERBO - ''Gianna, figlia mia adorata, è la prima ed ultima lettera che ti scrivo e scrivo a te per primo, in queste ultime ore, perché so che seguito a vivere in te. Sarò fucilato all'alba per un ideale, una fede che tu, mia figlia, un giorno capirai appieno... Vai sempre a fronte alta per la morte di tuo padre''. Sono il primo e l'ultimo brano della lettera che la notte tra il 3 e il 4 aprile 1944, mentre era nel carcere ''Le Nuove'' di Torino, in attesa dell'esecuzione della condanna a morta che gli era stata inflitta il giorno prima dal tribunale speciale fascista, Paolo Braccini, il ''Comandante Verdi'' della lotta partigiana, scrisse alla figlia Gianna.

Braccini, nato a Canepina, vice comandante del Comitato di Liberazione del Piemonte, fu fucilato all'alba del 5 aprile nel poligono di tiro del Martinetto. Quando il capitano che comandava il plotone d'esecuzione ordinò il fuoco, Braccini gridò: ''Viva l'Italia libera''. Tutti i compagni gli fecero eco. Con lui furono uccisi altri sette patrioti. Erano le 7:10. Braccini aveva da poco compiuto 37 anni.

Figlio di Braccio Braccini, medico condotto di Canepina, fervente socialista e amico personale di Giacomo Matteotti,, Paolo aderì alla lotta partigiana dopo l'8 settembre 1943 con il nome di battaglia di ''Comandante Verdi''. Poco prima si era iscritto al Partito d'Azione.

Nel 1944 a Paolo Braccini, fu conferita la medaglia d'oro alla Resistenza. Negli anni gli sono state intitolate strade e piazze a Torino, Terni, nel suo paese d'origine e in molte altre città italiane.

Altra figura viterbese della Resistenza fu Mariano Buratti, a cui è intitolato il liceo ginnasio di Viterbo, che dopo l'8 settembre 1943 organizzò una banda partigiana, la ''Banda Buratti'' appunto, che operava sui monti Cimini.

Il 13 dicembre 1943 l’insegnante azionista venne catturato dai nazifascisti, sul piazzale di ponte Milvio a Roma. Venne condotto alla prigione di via Tasso, usata dall’SD, la brutale polizia politica comandata dal maggiore Herbert Kappler, e successivamente al carcere di Regina Coeli. Dopo alcune settimane di detenzione e torture, insieme ad altri otto patrioti e oppositori del nazifascismo, venne fucilato al Forte Bravetta.

Buratti, tra l'altro, come scopri nel 2004 Peter Tompkins consultando gli archivi dell'OSS (poi diventato CIA), di cui era il rappresentante clandestino a Roma in occasione dello sbarco degli alleati ad Anzio, era uno dei 22 anonimi partigiani, di cui solo decenni dopo si sono conosciuti i nome, che salvarono la testa di ponte alleata appena sbarcata. I 22 furono quasi tutti uccisi alle Fosse Ardeatine o fucilati a La Storta, o, come lo stesso Buratti, a Forte Bravetta.

A Buratti, il 31 gennaio 1964, venne conferita la medaglia d'oro al valor militare: ''Nobilissima tempra di patriota, valente ed appassionato educatore di spiriti e di intelletti. Raccoglieva intorno a sè, tra i monti del Viterbese, un primo nucleo di combattenti dal quale dovevano sorgere poi valorose formazioni partigiane. Primo fra i primi nelle imprese più rischiose, animando con l’esempio e la parola i suoi compagni di lotta, infliggeva perdite al nemico e riusciva ad abbattere un aereo avversario. Arrestato in seguito a vile delazione, dopo aver sopportato, con la fierezza dei forti e col silenzio dei martiri, indicibili torture, veniva barbaramente trucidato dai suoi aguzzini. Esempio purissimo di sublime amor di Patria''.





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